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L’isola (che non c’è) dei rifiuti

Da anni le correnti oceaniche trasportano i milioni di tonnellate di rifiuti che invadono le acque dei mari di tutto il mondo, creando enormi concentrazioni di spazzatura, le cosiddette “isole di plastica”.

L’azione combinata dei moti oceanici e dei forti venti hanno creato il cosiddetto “Pacific Trash Vortex” (in italiano, Vortice di Rifiuti del Pacifico) al cui interno si trova una zona di mare calmo dove rimangono “depositati” i rifiuti.

I rifiuti non si limitano alla superficie, ma si estendono in profondità, fino al fondo del mare, dove il loro deterioramento è ancora più difficile.

Infatti queste isole sono formate da rifiuti di varie grandezze e da miliardi di frammenti microscopici di plastica che, disperdendosi dalla superficie sino al fondo del mare, vanno a mescolarsi e confondersi con il plancton: le particelle elementari da cui si rigenera la vita negli oceani.
Ogni anno diverse migliaia di animali marini (mammiferi, uccelli e tartarughe), vengono uccisi da oggetti di plastica di cui si nutrono per sbaglio o in cui rimangono intrappolati.

Il “Pacific Trash Vortex”: una questione di correnti

Ma in che modo si è formato questo fenomeno?

Gli scarti che sono finiti nell’oceano, sono stati trasportati dall’acqua ed “inghiottiti” all’interno di un complesso sistema di correnti marine che agiscono in quest’area di oceano.

L’azione combinata dei moti oceanici e dei forti venti hanno creato il cosiddetto “Pacific Trash Vortex” (in italiano, Vortice di Rifiuti del Pacifico) al cui interno si trova una zona di mare calmo dove rimangono “depositati” i rifiuti.

L’animazione proposta da Greenpeace, chiarisce perfettamente la modalità di formazione di questa zona, chiamata “Zona di Convergenza Subtropicale”

Quali sono gli effetti sull’ecosistema?

I rifiuti (principalmente plastici) che vagano in questo vortice oceanico, non si decompongono naturalmente bensì “rimangono in circolo”, smembrandosi in pezzi sempre più piccoli fino a raggiungere dimensioni microscopiche.

In questo modo, si verificano due fenomeni davvero temibili:

  • Il progressivo inquinamento delle acque
  • L’inserimento delle micro-particelle di plastica all’interno della catena alimentare.

Quest’ultimo aspetto è sicuramente il più pericoloso perché il plankton, da sempre principale sostanza nutritiva delle creature marine, viene contaminato dagli scarti.

Questo mette in pericolo sia gli animali, che rischiano di morire per avvelenamento o malnutrizione, ma anche l’uomo stesso , in quanto andrà a consumare cibi che contengono quantità di plastica dannose per la salute.

L’ecosistema dunque è in grave pericolo e, come spesso accade, la colpa ricade sull’attività poco lungimirante degli esseri umani.

Come evitare la dispersione dei rifiuti in mare?

La soluzione a questo problema non è di semplice attuazione, in quanto sono necessari ingenti investimenti economici per ripulire e bonificare le aree contaminate dalle particelle plastiche.

Possiamo però salvaguardare i mari e gli oceani dalla formazione di altri “accumuli” di rifiuti con qualche accorgimento pratico:

  • Eseguire una corretta raccolta differenziata;
  • Evitare la dispersione degli scarti sulle spiagge o direttamente nell’acqua;
  • Seguire le regole basilari che trovi in questo articolo di Greenpeace;
  • Informarti sul problema dell’inquinamento marino, guardando i contenuti proposti da Sky, per l’iniziativa “Un Mare da Salvare”.

Inoltre condividi nei commenti qui sotto, le tue buone pratiche per evitare l’inquinamento dell’acqua.

In questo modo potrai diffondere il tuo personale messaggio di eco-sostenibilità che pubblicheremo sui nostri canali social.

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